giovedì 18 marzo 2010

LA SABBIA DEL TEMPO di Gabriele D'Annunzio, con ANALISI INTERPRETATIVA di Fabrizio Vaccaro

Come scorrea la calda sabbia lieve
Per entro il cavo della mano in ozio,
Il cor sentì che il giorno era più breve.

E un'ansia repentina il cor m'assalse
Per l'appressar dell'umido equinozio
Che offusca l'oro delle piagge salse.

Alla sabbia del Tempo urna la mano
Era, clessidra il cor mio palpitante,
L'ombra crescente d'ogni stelo vano
Quasi ombra d'ago in tacito quadrante.

ANALISI

Brevità, ansia, tempo: con queste tre parole si può sintetizzare la poesia "La sabbia del tempo" di Gabriele D'Annunzio. E' nella prima strofa che il poeta improvvisamente, come folgorato da un lampo, si rende conto della brevità del suo giorno e dunque della sua vita. E' sdraiato, forse in una spiaggia, su una distesa di leggera sabbia riscaldata dal giorno. Ozia sereno e ignaro del male del mondo quando prende nel suo pugno un po' dei granelli su cui è disteso, che scorrono leggeri tra le sue dita. E' in questo momento che il suo cuore avverte che il giorno, già breve di per sè, è diventato ancor più breve e inesorabilmente. E' nella seconda terzina che il poeta ci descrive ciò che quest'avvenuta consapevolezza genera in lui: Ansia, la parola chiave della seconda strofe. Un'ansia improvvisa e travolgente pervade il suo cuore, anche per l'avvicinarsi della sera. E' la sera del 23 settembre, quella dell'equinozio d'autunno, da lui definito umido equinozio, che è infatti portatore delle prime piogge. Per cui non solo il giorno, ma anche l'estate volge al termine. E con loro la parte migliore della vita di un uomo, quella della giovinezza, della bellezza, del piacere dei sensi. Infatti la notte dell'umido equinozio, la vecchiaia, "offusca l'oro delle piagge salse", fa perdere il suo color dorato alla sabbia, alla vita, intrisa di salsedine, con tutte le sue disavventure. Il tempo scorre inesorabile. E proprio il tempo diviene il termine chiave della terza strofa, una quartina, non a caso la più estesa dell'opera. E' infatti in questa strofa che il mondo diventa assassino della vita, o, perlomeno, testimone della sua morte. Madre natura richiama a se suo figlio. La mano del dio-poeta diviene un'urna per la sabbia che attraverso essa è passata e che adesso non c'è più, a testimonianza di come anche gli uomini non resteranno che polvere e meno di essa entro le loro tombe. E, così, l'ansia menzionata nella seconda terzina rimane e si acuisce anche nell'ultima strofe scandita dal tempo: dalla clessidra del cuore che batte ritmicamente, dalle ombre degli steli che si allungano come fossero delle meridiane al tramontar del sole.
Ma in realtà questo non è l'ultimo giorno del poeta che, per fortuna, si risveglierà il mattino seguente pur in una vita più breve. Non è dunque casualità la vita che Gabriele D'Annunzio condurrà. Una vita inimitabile vissuta come se ogni giorno fosse l'ultimo, nel modo più intenso possibile.
Il che in netta opposizione rispetto a come Seneca concepiva la lotta alla brevità della vita. Tuttavia per entrambi la vita è una realtà temporale. Una realtà che fugge via. La vita è la sabbia del tempo, la quale ricorda la polvere della tomba, residuo della vita, e che non ci lascia presupporre in alcun modo una vita beata dopo la morte.
La sabbia del tempo è dunque un invito a vivere la vita in tutte le sue sfaccettaure come D'Annunzio stesso fece.
Ma un'esistenza così è sempre perseguitata dall'angoscia. Quell'angoscia che nella poesia è rappresentata dalla realtà circostante, orologio incorruttibile dell'esistenza, e dalla sua perpetua fuggevolezza.

4 commenti:

Salvo Ternullo ha detto...

Complimenti Fabrizio.
Imparo un componimento di D'Annunzio e ti ringrazio per la magnifica analisi contenutistica.
Devo ammettere che è molto bello analizzare componimenti poetici: in classe ho preferito fare l'analisi di "Alla luna" di Leopardi che fare il saggio breve. La mia analisi però purtroppo è stata accusata (e quindi io per l'ennesima volta) di perdersi in periodi troppo lunghi. E da questo ti apro una domanda: La mia insegnante si ostina a cercar di farmi combiare il modo di scrivere e non vuole almeno per una volta leggere per come scrivo io. Cosa pensi di ciò?

AKille ha detto...

Caro Salvuccio, a mio avviso a scuola sono tantissime le cose che non funzionano: tra queste il fatto di non coltivare le diversità ma anzi di cercare a tutti i costi di omologarle.
Tuttavia è anche vero che la scuola dovrebbe darci un insieme di conoscenze, ma soprattutto una cultura, che ci consentano di vivere al meglio in società. Da questo punto di vista il fatto che si insegni il linguaggio giornalistico è inevitabile, perchè è quello più condiviso in Italia in quanto il più chiaro. La chiarezza dell'esposizione nell'italiano è fondamentale e credo debba essere salvaguardata pure in un periodare ciceroniano: se così è non sarebbe male una maggior flessibilità da parte degli insegnanti.
Però essendo a scuola non possiamo non sorbirci il linguaggio giornalistico ke è il più incisivo e quello in cui si evitano gli errori.

Miriam ha detto...

Bravo! Davvero un'analisi molto molto bella!

AKille ha detto...

Grazie